Teatro Remondini , Bassano del Grappa 26 Agosto 2014
VIRGILIO BRUCIA - Anagoor
con Marco Menegoni, Gayanée Movsisyan, Massimiliano Briarava, Moreno Callegari, Marta Kolega, Gloria Lindeman, Paola Dallan, Monica Tonietto, Artemio Tosello, Emanuela Guizzon
con la partecipazione di Marco Cavalcoli
video concept Simone Derai, Moreno Callegari, Giulio Favotto
direzione della fotografia Giulio Favotto / OTIUM
editing Moreno Callegari, Giulio Favotto
sound design Mauro Martinuz
regia Simone Derai
costumi Serena Bussolaro, Simone Derai
accessori Silvia Bragagnolo
maschera di Ottaviano Augusto Felice Calchi
scene Simone Derai, Luisa Fabris, Guerrino Perosin
musiche Mauro Martinuz
arrangiamenti musiche tradizionali, composizioni
vocali originali e conduzione corale Paola Dallan, Gloria Lindeman, Marta
Kolega, Gayanée Movsisyan byzantine chant e Kliros tratti da ‘Funeral Canticle’ di John Tavener
beats Gino Pillon
traduzione e consulenza linguistica Patrizia Vercesi
drammaturgia Simone Derai, Patrizia Vercesi
testi ispirati dalle opere di Publio Virgilio Marone, Hermann Broch, Emmanuel Carrère, Danilo Kiš, Alessandro Barchiesi, Alessandro Fo, Joyce Carol Oates.
Nella sua “Vita” Elio Donato disegna con rapidi tratti un Virgilio schivo, di carattere mite e modesto, dalla parlata timida e lenta, tanto da apparire ignorante. Una figura in netto contrasto con il mito del poeta che non esitava a cantare i potenti e non esitava ad usare il registro epico e il ruolo di poeta laureato al servizio di Ottaviano. La nostra epoca antitotalitaria coltiva giusti e legittimi sospetti nei confronti dei poeti e della poesia al servizio di un’ideologia ufficiale. Tuttavia ribolle sotterranea una tensione latente tra il Virgilio introspettivo, che colora i suoi versi di melodia tipicamente malinconica, e il Virgilio propagandista ufficiale che deve proclamare il trionfo delle armi romane e la storia della dinastia al potere. C’è una composta, disciplinata serenità nell’opera di Virgilio, ma sotto la superficie indisturbata si agita un dissidio interiore. Virgilio è Enea, un eroe che porta nel nome un dolore insostenibile, riluttante eppure capace di accettare di assumersi l’onere di una missione immensa, sproporzionata per un solo uomo. Questo lavoro di Anagoor non è un’opera sulle Bucoliche, sulle Georgiche o sull’Eneide. È piuttosto uno sguardo spaventato alla frattura che fende e ferisce la base di un’esistenza da cui scaturisce, come un fiume che lava, la creazione poetica. Su insistenza di Augusto, nel 22 a.C. Virgilio lesse parte del grande poema promesso, allora ancora in via di costruzione, e al quale lavorò per 11 anni fino alla morte. In 3 distinte serate il poeta recitò i versi di 3 dei 12 libri della futura Eneide. Non 3 libri a caso: il Secondo, ovvero il rogo di Ilio e il crollo del regno troiano, racconto di inaudita violenza che funge da propulsore alla vicenda del popolo in fuga verso l’Italia; il Quarto, ossia l’abbandono di Cartagine e di Didone, esemplare rinuncia alle proprie passioni, all’amore e alla felicità, sacrificate in nome di una missione più alta; il Sesto, in cui si narra la discesa di Enea nel regno dei morti per ritrovare il padre Anchise, libro quest’ultimo posto esattamente al centro del poema, significante spartiacque tra passato e futuro, tra incendio e futura fondazione. Il nuovo lavoro di Anagoor può essere osservato attraverso il filtro di questi tre libri. Virgilio come Enea si carica sulle spalle un bagaglio enorme e con tale enorme fardello attraversa il bruciante processo della creazione, consumando la propria vita, inseguendo vie di fuga dalle fiamme divoranti del proprio sentire, delle proprie urgenze. Laddove fuggire dall’incendio è mettere in salvo se stessi, e mettere in salvo una tradizione a brandelli levando un canto funebre per ciò che non sarà più, perché la propria creazione darà l’addio definitivo ai padri di cui conserviamo il dna dando il via ad una nuova lingua. Dice il poeta irlandese, Seamus Heaney (1939 – 2013): “Virgilio pone la domanda che turba tutti i poeti, a che serve il canto se tutto è sofferenza? A che serve cantare in tempi di violenza?” Per questo ad affiancare Anagoor ci sarà un coro di voci europee ed extraeuropee che disegnaranno una geografia e una cronologia del canto, come un impero dagli ampi confini in cui confluiscono musicalità colte e popolari, influenze orientali e occidentali, armene e bizantine, ma anche la tradizione balcanica e quella macedone che conservano il germe misterioso dell’arte aedica e del coro pretragico, fino alle composizioni minimaliste del più lirico tra i contemporanei, l’inglese John Tavener (1944 – 2013), e del suo toccante “Funeral Canticle”, scritto in occasione della scomparsa del padre.
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