IO SONO UN'ATTRICE
i teatri di Roberto Latini
a cura di Katia Ippaso
Esce per Editoria&Spettacolo, "Io sono un'attrice". Curato da Katia Ippaso il libro è un percorso nella poetica dell'artista Roberto Latini e del gruppo Fortebraccio Teatro.
21-04-2009 - “Io sono un’attrice”. Una frase ambigua, anomala, che, come scrive Katia Ippaso, curatrice dell’omonimo libro dedicato a Roberto Latini (e come lei stessa ha spiegato durante la presentazione del libro tenutasi al Teatro Argot di Roma il 17 Aprile), è caduta dalla bocca dell’attore come un vero enigma, “con la stessa insondabilità della pietra”. Perché questa affermazione non si rifà assolutamente ad un teatro di genere, omosessuale o queer, né tanto-meno ad un’esplicita sessualità, piuttosto si collega alla seduzione che l’attore esercita sul suo pubblico, all’erotica ambiguità degli spettacoli di Fortebraccio Teatro, alla presenza sciamanica e rituale dell’attore, al suo “dialogo-combattimento con l’altrove.” Un altrove, della parola, della recitazione, del corpo presente nella figura di Roberto Latini, e ripercorso attraverso le pagine di questo libro, che, lungi dall’essere mero manuale critico, diviene descrizione, ri-creazione della poetica dell’artista. Il risultato è quello di affiancarsi al percorso teatrale di Fortebraccio teatro in termini poetici, comunicarne le energie, le strategie, le emozioni, le parole, i corpi, la prassi scenica, guardando a tutti gli spettacoli prodotti dal gruppo. Il libro si apre con uno scritto dello stesso Latini, che, rifiutando i termini classici della biografia, si abbandona alla nostalgia di un vero e proprio racconto in cui spiega il suo iniziale approccio al teatro. Una chiamata, la stessa che, secondo Katia Ippaso, aveva stravolto la vita al protagonista di Dance!Dance!Dance! di Haruki Murakami; questo danzare sulla vita, il saper perdere le cose per abbandonarsi ad essa. La personalità anomala e conturbante dell’artista – e conseguentemente del gruppo - è analizzata attraverso interviste, conversazioni realizzate dalla stessa Ippaso e poi raccolte, ri-ordinate per riuscire a far trapelare il detto e il “non detto”, ciò che le semplici parole non riescono a mettere in mostra, i silenzi che serpeggiano sullo sfondo di ogni opera d’arte. Si guarda ai testi dell’artista – raccolti nella seconda metà del libro – ma anche al suo stare in scena oltre la parola, al lato corporale-performativo dei suoi spettacoli, a quella che nel libro, Antonella Ottai definisce nascita di una “nuova carne”, attraverso l’esoscheletro costruito per Ubu Incatenato. Completano l’analisi i saggi di Paolo Ruffini, Paola Quarenghi, Antonio Audino e dell’appena citata Antonella Ottai, nonché altri scritti più “critici” della stessa Katia Ippaso. L’analisi e la figura di questa “attrice rock-star” si inserisce perfettamente nella collana Spaesamenti curata da Paolo Ruffini per la casa editrice Editoria&Spettacolo. Arrivata con Io sono un’attrice all’ottava pubblicazione, la collana cerca di puntare un faro sui nuovi artisti della scena teatrale italiana, sul nuovo ibridarsi delle arti, distruggerne i confini, delineando il sentire artistico e performativo caratteristico delle nuove generazioni. Katia Ippaso, critico teatrale, autrice televisiva e scrittrice, in Io sono un’attrice descrive così una delle figure più affascinanti di tale scena teatrale. Una figura “sensuale" e “femminile”. Come “femminile e sensuale” potrebbe essere definito questo libro.
"Io sono un'attrice" non evoca un teatro di genere, tantomeno di genere omosessuale o en travesti o queer, benché nella scena tattile e luccicante di Fortebraccio Teatro confluiscano segni di una spettacolarità sempre ambigua, erotizzata. "Io sono un'attrice" non richiama strettamente neanche la sessualità (di ordine naturale), semmai la seduzione (di ordine rituale), che è per sua natura femmina, al di là del corpo di cui si impossessa. E tanto più spaesante è l'effetto del suo potere se è nel corpo di un uomo che si deposita, costringendolo a fare di fronte al suo pubblico una recita di fantasmi, a drammatizzare in forma radicale e inesplicabile il proprio dialogo-combattimento con l'altrove.
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