Patrizio

Teatro Spazio Uno 13 marzo 2014 theA’term presenta “PATRIZIO, Come quei divi di Hollywood che sono eterni” di Gianni Spezzano, regia di Marcello Cotugno. Lo spettacolo miscela - nella forma di un monologo intenso, ironico, a tratti tragico - un racconto biografico intimo e emotivo con un minimalismo da teatro di narrazione. Patrizio, rampollo emergente del Clan dei Corbese, racconta in prima persona la storia della sua vita, mentre si prepara a recarsi al funerale del suo amico Antonio Corbese. La sua storia è quella dell’iniziazione criminale di un “bravo” ragazzo sullo sfondo della Napoli degli anni ’80: una storia di mazzate e di rivalse, di paura e di adrenalina, ispirata dalla passione per gli eroi maledetti del cinema hollywoodiano e percorsa dal filo ininterrotto del rapporto con un padre amorevole ma troppo debole. All’ascesa di Patrizio corrisponde la decadenza di una società che ha perso le proprie certezze, e il fallimento degli ideali di una generazione, quella dei Padri, a cui il futuro è sfuggito di mano. “Per questa storia mi sono semplicemente rifatto ai miei ricordi, traendo spunto dalla mia infanzia, dal mio paese e dai suoi figli di, cercando di capire quanto della propria volontà ci sia nello scegliere il proprio destino. Patrizio ci racconta della sua infanzia, delle sue paure, delle mazzate subite dai prepotenti e di quell’episodio improvviso che cambiò per sempre la sua vita. Un racconto inconsapevole, non analitico, una confessione che sembra condurlo a una redenzione che invece non arriverà mai. In una lunga preparazione rituale, per recarsi al funerale dell’amico Antonio Corbese, Patrizio ripercorre tutte le tappe di una trasformazione caratteriale e sociale, per metà passiva e per metà attiva, attraverso un monologo crudo e minimalista. Raccontando di un mondo altro, quasi parallelo, ci mette di fronte alle differenze tra la vita di quartiere e quella della tv, del cinema, della cronaca presentandoci un vero esempio di cultura alternativa, ben radicata e tramandata di generazione in generazione”. (Gianni Spezzano) “L’epica malavitosa di film come Scarface o di C’era una volta in America ha lasciato un segno profondo nel nostro immaginario: l’eroe gangster, bello, perduto e affascinante da sempre riesce a sedurci molto più che il poliziotto, inadeguato, nella sua ragionevole ansia di giustizia, di fronte alla bruciante passione criminale e al potere mitopoietico del male. Rispetto a questi presupposti, Patrizio rivela una natura contraddittoria: se infatti da un lato l’operato di criminale del protagonista ha in sé la forza esaltante dell’invincibile supereroe à la Bruce Lee (uno degli dei del personale pantheon di Patrizio, appunto), dall’altro, Patrizio cela sottopelle una fragilità, un’inadeguatezza che la strada ha trasfigurato in violenza e voglia di potere, costringendolo a una professione non voluta. Non a caso, sono i continui richiami a esuberanti pellicole di genere viste e mandate a memoria a fare da contrappunto all’autonarrazione di Patrizio: un delinquente suo malgrado che, non avendo avuto altri modelli, cerca di aderire con la maggiore compiutezza possibile ai propri miti criminali. La forma monologante restituisce alla storia un’accezione surreale e anti-naturalistica, dandole i toni di un’epopea suburbana, malinconica e guascona, ma mai retorica. Le musiche - in parte mutuate da un contesto trash (Gianfranco Marziano canta Drago Spaziale, Radio Ibiza rielabora in versione house un classico brano di Renato Carosone ribattezzato Papa l’Americano), in parte citazioni ironicamente colte che richiamano i toni della sceneggiata (The Merola Matrix di Hugo Race), in parte provenienti da brevi incursioni nel contemporaneo (Miserere di Nyman e Mulholland Drive di Badalamenti) - nella loro funzione di contrasto meta-culturale, accompagnano Patrizio come arie impazzite di un’opera lirica devastante: la sua vita. Luoghi deputati scandiscono le scene, costruendo, nella povertà degli elementi, una metafora che prova a raccontare le possibilità negate di chi, come Patrizio, la sua altra chance non l’ha mai avuta”. (Marcello Cotugno)
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