Teatro dell’Orologio 18 Febbraio 2015
SEI PERSONAGGI IN CERCA D'AUTORE
da Luigi Pirandello
uno spettacolo di VicoQuartoMazzini
regia, luci e suono Gabriele Paolocà
con Michele Altamura, Nicola Borghesi, Riccardo Lanzarone, Paola Aiello, Natalie Norma Fella
costumi Cristina Di Bari
prodotto da VicoQuartoMazzini e Teatro Kismet Opera
con il sostegno di Progetto Goldstein e Teatro dell'Orologio
Sei personaggi irrompono nella testa di un ex teatrante. Sono un padre, una madre e quattro figli. Sei personaggi incompleti, talmente incompleti da esser rappresentati anche solo con una parrucca o una giubba da marinaretto. Portano con sé un dramma doloroso, macchiato di sangue e vergogna. Chiedono all'ex teatrante di poterlo vivere lì, davanti a lui, affinché lui lo possa trascrivere donandogli vita eterna.
L'ex teatrante è titubante. Lui ha smesso col teatro. “Io non voglio più essere io”, così dice a sua difesa.
I Sei Personaggi tentano il loro autore nell'ora del crepuscolo, quando egli, abbandonato su una poltrona, lascia che l'ombra invada la sua stanza e che quell'ombra brulichi della loro presenza. E' questa l'immagine con cui Pirandello descrive il sacro momento della creazione, è un'immagine magica e inquietante, bianca e nera: la questione creativa è una questione di vita o di morte. Pirandello intende l'artista come un sensitivo succube di un'idea che s'impadronisce della sua testa e ne modifica lo sguardo e la realtà. Ed è così che la realtà, quella riconosciuta da tutti, diventa distante, la realtà di un altro pianeta.
In che mondo vive un artista? Qual è la sua verità? Quanto una “realtà altra” diventa alienazione e quanto àncora di salvezza?
Affrontare Pirandello vuol dire sedersi accanto a lui, in quell'ora del crepuscolo, a fare la conta dei propri fantasmi.
“Ho scritto questa commedia per liberarmi da un incubo” così scrive Pirandello nella sua presentazione. E se invece di allontanarsi, quell'incubo s'impadronisse di noi?
Quando una piccola compagnia del ventunesimo secolo, con le sue difficoltà e le sue gioie, le sue ambizioni e le sue amputazioni si mette di fronte a un classico di tale portata, la prima cosa che salta agli occhi è l'abissale distanza che c'è tra la sua condizione e quella della compagnia degli attori con cui si relazionano i 6 personaggi nel testo originale. Attraverso la noia e il cinismo con cui fa parlare gli attori, Pirandello mette alla berlina un sistemo tronfio di vizi e scarno di virtù, dove il suggeritore è incapace di suggerire, gli attori di recitare e il regista di imporre il proprio pensiero, dove l'uomo di teatro è paragonabile a un impiegato statale in attesa di finire il proprio turno di lavoro. No, noi (per fortuna e purtroppo) non siamo questo. Noi la compagnia degli attori la simboleggiamo attraverso un uomo solo, prigioniero dei ricordi, intrappolato in un passato decisamente più interessante del suo presente. Noi la compagnia degli attori la simboleggiamo attraverso un uomo che non ha più una compagnia, che ha smesso di fare teatro (perché si deve pur mangiare) ma che al teatro non riesce a smettere di pensare e l'ossessione di questo ricordo lo porta a compiere una sciocchezza. Noi la compagnia degli attori la simboleggiamo attraverso un uomo che si punta una pistola alla tempia. Questo spettacolo potrebbe durare un istante, quell'istante, quando il freddo del ferro ti preme sulla tempia e il futuro, dall'altra parte, da dentro le cervella, aspetta in silenzio. E' a quest'uomo che i personaggi chiedono di essere ascoltati, è a lui che chiedono di poter rappresentare la propria storia. E' a lui che offrono una chance.
Gabriele Paolocà
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