FORTE FANFULLA 4 - 6 Aprile 2013 Rassegna PARABOLE FRA I SANPIETRINI “C’è bisogno” Festival di teatro da Roma in fuori II Edizione “IL CERCHIO DI GESSO – M. UNA COSA NOSTRA” drammaturgia e regia Girolamo Lucania con Elisa Ariano, Jacopo Crovella, Vincenzo Di Federico, Mara Scagli, scena Giulia Cicerale, luci Pietro Striano. Parabole fra i Sanpietrini giunge a metà della sua programmazione, quest’anno più che mai ricca, presentando per il sesto appuntamento una compagnia proveniente da Torino Il Cerchio di Gesso che allestiranno, nello spazio del Forte Fanfulla, lo spettacolo M. Una cosa nostra. Uno spettacolo teatrale liberamente tratto dal romanzo “Mi chiamo Maurizio – sono un bravo ragazzo – ho ucciso 80 persone”. Il romanzo racconta la vita di un pentito mafioso, dagli esordi da killer per la famiglia mafiosa, all'arresto e al conseguente pentimento. M. Avola è un pentito, attraverso le sue deposizioni, racconta il periodo post stragista degli anni '90 e di conseguenza le nuove strategie avviate da Cosa Nostra a partire da quegli anni. Maurizio Avola è uno che ha voltato le spalle all'organizzazione, che ha avuto il coraggio di dire la verità, ma è soprattutto un uomo. Infatti lo spettacolo punta a mettere in risalto l'umanità di quest’uomo. La pièce racconterà, dalle sue stesse parole, come sia possibile che un uomo, nato e intessuto in una particolare società come quella siciliana, possa ambire a essere un picciotto e come, allo stesso tempo, possa amare ed essere amato e fare dei figli. Uno spettacolo che affronta l’aspetto umano di questo pentito e, in secondo luogo, l’aspetto relativo alle sue deposizioni. Le denunce di Avola, il racconto delle strategie di cosa nostra, delle faide interne fra clan, il rapporto con la politica, i metodi pensati dall'organizzazione mafiosa per combattere i “traditori”. Come spiega lo stesso regista per raccontare una storia sulla mafia che allo stesso tempo descriva la vita di un uomo e la storia contemporanea del nostro paese, bisogna ragionare sulla parola Giudizio. Partiamo dal presupposto della necessità. Raccontare questa storia è necessario perché parla di noi, perché oggi il problema della mafia è radicato nella nostra cultura e nei poteri forti, perché il cittadino non va educato bensì responsabilizzato: va messo a confronto con se stesso, la propria storia e le proprie quotidiane scelte. Dunque dobbiamo responsabilizzare e coinvolgere. In secondo luogo, per poter responsabilizzare dobbiamo giudicare. Ma senza farci prendere dall'ansia. Dobbiamo innanzitutto comprendere. Capire che, come dice Kertesz in Essere senza destino: non esiste assurdità che non possa essere vissuta con naturalezza. Per fare tutto questo è necessario il giusto distacco. Una buona dose di ironia. La creazione di un'empatia col pubblico, un appagamento spettacolare, visivo e intrattenitivo.
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